alla
discussione sul futuro del Commercio Equo. (ottobre
2003)
Contributo della Cooperativa
Equo Mercato
Nella
Carta Italiana dei Criteri il Commercio equo e solidale (Comes) è definito come
“un approccio alternativo al commercio tradizionale”.
Ci
sembra giusto assumere questa definizione come punto di partenza per analizzare
i problemi che sorgono dallo sviluppo del
Comes nel nostro paese e nel mondo,
ma ovviamente la difficoltà sta
nell’intendersi su cosa significa “alternativo”.
Il
nostro sforzo di essere “alternativi” si è sempre indirizzato verso l’obiettivo
di valorizzare i rapporti tra le persone coinvolte nel Comes e di migliorare la
loro qualità di vita. Siamo convinti
che, oggi, solo su questo terreno è possibile realizzare e verificare dei
cambiamenti reali nel modo di fare commercio e che solo da una capillare
diffusione di uno stile di vita più sobrio e attento alle persone potranno
venire anche i grandi cambiamenti politici.
Nella
nostra visione quindi il Comes non si
pone “in proprio” l’obiettivo di cambiare le regole o i rapporti di potere nel
commercio internazionale, ma è parte di un più ampio movimento politico, nel
quale deve svolgere il ruolo di un laboratorio collettivo, in cui si cerca di
sperimentare un nuovo modo di fare commercio che, fin da subito, produce dei
cambiamenti nella vita delle persone coinvolte: produttori, operatori del Comes
e consumatori.
I
produttori sono quelli che in modo più diretto e immediato possono sperimentare
un cambiamento di vita grazie al Comes.
Per molti di loro accedere a canali privilegiati di vendita dei loro
prodotti è il modo di uscire dalla miseria e accedere a condizioni di vita
dignitose. Certamente è su questo terreno che il Comes ha ottenuto i suoi
maggiori successi e aumentare il numero di produttori coinvolti resta quindi il
suo obiettivo primario. Gli strumenti del
prezzo equo, della continuità dei rapporti commerciali e dello sviluppo
di strutture produttive solidali e democratiche, evidenziati nella Carta dei
Criteri, sono essenziali per continuare su questa strada e devono quindi
mantenere un ruolo centrale nella pratica del Comes.
Il
forte sviluppo del Comes pone al
riguardo alcuni problemi.
Innanzi
tutto l’esigenza di garantire i consumatori sulla provenienza dei prodotti con
qualche forma di certificazione. L’esperienza di FLO (Fairtrade Labelling
Organization) a livello internazionale è un punto di riferimento per i prodotti
inseriti nei registri. IFAT (Internatiol Federation for Alternative Trade) si
sta movendo su un canale parallelo, attivando un sistema di monitoraggio dei
produttori che è già in fase avanzata di sviluppo. In Italia l’istituzione del
RIOCES (Registro Italiano delle Organizzazioni di Commercio Equo e Solidale) si
muove nella stessa direzione. Abbiamo
aderito alla Assemblea Italiana del
Comes e al RIOCES nella convinzione che la strada da seguire sia quella di un
sistema di monitoraggio che garantisca i soggetti coinvolti nel processo del
Commercio equo e non solo i singoli prodotti, come attualmente succede con i
marchi che fanno capo a FLO.
Pensiamo
che questa sia l’unica strada che permette di garantire i prodotti di
artigianato e di offrire possibilità di
sviluppo ai piccoli produttori. La
nostra attività ha sempre cercato di privilegiare piccoli progetti, spesso
promossi da noi, con le mille
difficoltà che si incontrano in questo lavoro.
Sappiamo
quindi quanto può essere difficile per realtà piccole soddisfare alle esigenze
di certificazione, documentando in modo completo il loro operato. Siamo però
convinti che lo sviluppo di queste piccole realtà sia uno dei valori
fondamentali del Comes e quindi ogni forma di monitoraggio deve essere attenta
a non metterle in difficoltà o addirittura ad escluderle.
L’esperienza
ci ha insegnato che non è la struttura formale dei gruppi di produttori
(cooperative o altro) che conta ma la sostanza dei rapporti di collaborazione
che si sviluppano al loro interno.
Spesso
realtà non strutturate o poco stabili che operano nei villaggi, in Africa o in
America Latina, sono espressione di tradizioni di lavoro solidale vive nella
cultura locale, anche se non corrispondono agli standard organizzativi dei
paesi occidentali. Con queste realtà
lavoriamo e vogliamo continuare a lavorare, dando loro il giusto spazio nel
Comes. Il nostro obiettivo è di portare
queste piccole realtà ad aderire ad IFAT, adeguandosi anche formalmente agli
standard richiesti, ma sappiamo che spesso è un processo difficile; per questo
riteniamo che ogni forma di monitoraggio deve essere abbastanza flessibile da
accogliere le strutture produttive che le culture locali esprimono, senza
imporre i nostri modelli.
Una
forte presenza di piccole realtà produttive nel mondo del Comes è anche una
garanzia di pluralità e di
partecipazione, una ricchezza per tutto il movimento che permette di
penetrare meglio nelle diverse realtà locali.
Le
grandi organizzazioni di produttori, che più facilmente possono rispondere a tutte
le esigenze formali di certificazione, sono in un certo senso delle realtà
privilegiate che, rispetto ad altre entità produttive dei loro paesi, hanno già
potuto percorrere un cammino di crescita, aiutate dal Comes. Questo, come
dicevamo, è certamente un risultato positivo, ma è importante che il Comes
oltre a favorire il loro ulteriore sviluppo continui a promuovere la nascita di
piccole nuove strutture produttive, capillarmente inserite nelle realtà locali.
Nel
nostro lavoro abbiamo imparato che la collaborazione con associazioni di
produttori grandi e ben stabilizzate è fondamentale per consentire anche a noi
una attività stabile e per fornirci le risorse necessarie a sviluppare nuovi
progetti. Questa è la strada su cui il Comes è finora cresciuto ed è
fondamentale che continui a seguirla con convinzione, senza permettere che
l’adozione di standard troppo rigidi, magari imposti dall’esterno, limiti le
sue capacità di sviluppare nuove esperienze.
Apertura
quindi a strutture dei produttori informali o anche di tipo profit (come
già succede in IFAT), purché si abbia la garanzia di un processo in corso in
cui le condizioni di vita dei lavoratori coinvolti migliorano e vi sono
ricadute positive sulle comunità.
A
volte dal rapporto di collaborazione con i produttori e dal rispetto della loro
cultura ci vengono sollecitazioni a cambiare il nostro modo di operare e a non
adattarci alla cultura dominante in occidente. Nella nostra esperienza un caso
emblematico è quello dei movimenti dei bambini lavoratori da cui abbiamo
imparato a considerare in modo nuovo il problema del lavoro minorile, un tema
sul quale è necessario fare chiarezza in tutto il movimento del Comes, rivedendo, se necessario, anche la Carta dei
Criteri per dare spazio alle esperienze di lavoro dei minori in condizioni
dignitose e offrire sbocchi ai loro prodotti.
Un
ulteriore problema riguarda il possibile accesso dei produttori ai canali di
vendita della grande distribuzione. Evidentemente questo riguarda soprattutto
organizzazioni di grandi dimensioni, capaci di garantire grandi quantità di
prodotti, con standard di produzione stabili ed elevati.
Per
loro l’accesso a questi canali di vendita può essere indubbiamente un
importante passo avanti, che comporta però anche dei rischi, in particolare per
quanto riguarda i meccanismi di scelta e di controllo della gestione aziendale
e di reale cooperazione tra le persone coinvolte. Sono problemi che dovranno
affrontare le singole organizzazioni di produttori che sceglieranno questa
strada, ma sui quali anche da parte nostra ci deve essere attenzione.
E’
inevitabile che la partecipazione personale diretta di ciascuno ad ogni
decisione importante (tipica delle piccole strutture produttive) non può essere
garantita in organizzazioni che coordinano migliaia di persone, dove si devono
sviluppare forme di rappresentanza e di delega. E le difficoltà aumentano quando
le richieste del mercato impongono scelte produttive e organizzative
dettate innanzi tutto da criteri di economia ed efficienza.
In
processi produttivi di grandi dimensioni è indubbiamente più difficile
preservare il valore della “alternativa al commercio tradizionale”; ma è
proprio questo il “valore aggiunto” del Comes che deve continuare ad essere ben
visibile.
Non
si può rischiare che questo valore venga compromesso da comportamenti dettati
solo dall’esigenza di tener fede ai contratti di vendita, pena una ricaduta
sull’immagine complessiva del Comes tanto più negativa quanto più estesa è la
diffusione dei prodotti. Per i produttori che accedono a canali di grande
distribuzione i controlli e il processo di monitoraggio devono essere quindi
particolarmente rigorosi.
Tra
i produttori che collaborano con noi
ben pochi sarebbero oggi in grado di
accedere a questi canali di vendita, e quindi non siamo spinti ad affrontare i
problemi e i rischi connessi a tale scelta. In ogni caso pensiamo che ai
produttori debba essere concessa la massima libertà di vendere i loro prodotti
a chi ritengono più opportuno, sia nei canali del Comes che fuori, purché la
loro struttura produttiva continui a garantire ai lavoratori gli stessi
vantaggi e livelli di partecipazione alle decisioni.
Particolarmente
importante da questo punto di vista è la questione del “prezzo equo”.
Per
molti prodotti di largo consumo FLO stabilisce dei prezzi minimi che fanno da
riferimento e ci sembra indispensabile garantire la massima trasparenza sui
prezzi praticati in realtà, chiedendo ai produttori di rendere pubblici i
prezzi effettivamente pagati dai
singoli importatori, specialmente per quanto riguarda i prodotti destinati alla
grande distribuzione.
La
massima trasparenza sui prezzi ci sembra il primo passo indispensabile anche
per definire in modo più soddisfacente cosa si debba intendere per “prezzo
equo” per quei prodotti non inseriti nei registri di FlO e in particolare per
l’artigianato. Su questo tema, già più volte sollevato e dibattuto all’interno
dell’Assemblea Italiana del Comes, è fondamentale sollecitare il contributo dei
produttori, sfruttando la ricchezza di esperienza che ci viene dalla presenza
di organizzazioni che operano in differenti realtà e con strutture molto
diverse.
Di
solito i produttori dispongono di cataloghi delle loro merci, con indicazioni
di prezzo che derivano da una loro analisi dei costi delle materie prime, della
giusta remunerazione dei lavoratori, degli oneri di mantenimento e sviluppo
della struttura e di eventuali interventi a favore delle comunità, così da
garantire che il prezzo indicato è effettivamente “equo”. Ma anche quando un
catalogo non esiste, come nel caso di nuovi progetti, i produttori sanno bene quanto possono ricavare dalla vendita dei
loro prodotti nei mercati locali. Il termine “mercati” indica qui i luoghi fisici in cui ci si scambiano le
merci, e non le entità astratte cui si
riferisce la teoria economica. Luoghi in cui i prezzi vengono stabiliti
dall’interazione di esigenze individuali e collettive concrete, legate al
bisogno di ciascuno di avere un lavoro e una vita dignitosi e al mantenimento
della stabilità e del benessere della comunità locale. Nella nostra esperienza
di sviluppo di nuovi progetti, abbiamo visto che questi prezzi locali, frutto
della cultura dei produttori e delle loro comunità, sono di solito il punto di
riferimento più corretto e attendibile da cui partire per definire un “prezzo
equo”, aggiungendo quanto serve per sviluppare le strutture produttive e altre
iniziative.
In
Italia, negli ultimi anni, abbiamo registrato una grande crescita del numero di
realtà che si occupano di Comes e di persone coinvolte sia a livello
professionale che di volontariato. Anche per loro il Comes deve significare la
possibilità di nuovi stili di vita che dimostrino la realtà di un “approccio
alternativo al commercio tradizionale”.
Per
chi lavora nel Comes la possibilità di svolgere una attività moralmente
appagante è certo più importante della remunerazione economica e spesso tempo
ed energie personali vengono investiti senza risparmio per la crescita del
Comes. L’esigenza di rispondere sempre
meglio a tale crescita richiede comunque livelli di professionalità sempre più
alti e comporta il rischio di introdurre anche nel nostro ambiente incentivi e
metodologie di gestione del personale e dei
processi produttivi identici a quelli dell’economia tradizionale.
La
sfida è di rispondere a queste nuove esigenze di professionalità e di
efficienza senza perdere le nostre caratteristiche, ma anzi facendone un punto
di forza da portare come testimonianza all’esterno.
Perché
ciò sia possibile è indispensabile che i rapporti tra gli attori del Comes si
basino sulla cooperazione solidale e non sulla concorrenza, tenendo presente
che, come dicevamo nella premessa, il Comes è parte di un movimento globale di
cambiamento e laboratorio di sperimentazione di un’economia solidale.
Nella
Carta dei Criteri si chiede che gli operatori del Comes siano no profit. Una definizione che
permette una discriminazione giuridica sulla base della forma societaria, ma
che ci sembra insufficiente e inadeguata a comprendere tutta la realtà potenziale
di una rete di economia solidale.
Quello
che conta sono le scelte commerciali e organizzative concrete, non una forma
giuridica dietro la quale possono nascondersi comportamenti poco coerenti. Non
è facile definire i criteri che caratterizzano una impresa solidale, ma ci
sembra indispensabile avviare la discussione partendo dalle esperienze non solo
nostre ma anche di chi, al di fuori del mondo del Comes, cerca di muoversi
nella stessa direzione.
Da parte
sua il Comes si è rivelato capace di creare posti di lavoro e, in una fase in
cui i diritti dei lavoratori vengono messi in discussione continuamente, è
importante che si tratti il più possibile di lavoro garantito, visto che la
stabilità del lavoro è un valore importante non solo per i produttori ma anche
per noi. Fondamentale è anche il ruolo dei volontari, che con il loro
contributo di idee e di lavoro concreto sono una componente essenziale del
meccanismo produttivo del Comes. Tutti questi aspetti sono già considerati
nella Carta dei Criteri e nei regolamenti dell’Assemblea generale, e possono
diventare uno dei valori importanti da far conoscere all’esterno e su cui
puntare per valorizzare l’intera filiera del Comes.
Ma
i regolamenti non possono bastare. E’ indispensabile che la differenza rispetto
al commercio tradizionale ispiri la nostra pratica concreta diventando
testimonianza quotidiana.
Per
questo abbiamo scelto di praticare politiche di vendita che non adottano i
tradizionali incentivi del commercio tradizionale, garantendo a tutte le
Botteghe del mondo uno sconto identico sull’acquisto dei nostri prodotti, a
prescindere dal loro fatturato, e senza richiedere soglie di acquisto, e stiamo
lavorando per mettere facilmente a disposizione di tutti i prezzi trasparenti
di tutti i prodotti e per definirli in modo da garantire ai produttori una
quota del prezzo finale che sia significativamente più alta di quanto accade
nel commercio tradizionale.
Riteniamo
che queste scelte siano coerenti con l’esigenza di sperimentare un’alternativa
al commercio tradizionale, ma sappiamo anche che la pressione del mercato
spinge in altre direzioni.
Non
è nel nostro stile chiedere che queste scelte siano adottate da tutti, anche
perché crediamo che un laboratorio è tale se si praticano diverse strade di
ricerca, ma ci sembra importante proporle alla discussione di tutti, sapendo
che non è facile mantenerle senza uno spirito di collaborazione solidale.
La
volontà di tener fede a queste scelte è uno dei motivi che contrastano con la
possibilità di vendere i nostri prodotti nella grande distribuzione. Nei pochi
approcci che abbiamo avuto con questi canali abbiamo verificato che le esigenze
di trasparenza e di solidarietà sono difficili da mantenere, soprattutto quando
si opera, come sarebbe nel nostro caso, in condizioni di grande inferiorità
economica. Sappiamo che chi ha scelto di accedere alla grande distribuzione è
cosciente di questi problemi e contiamo che sappia affrontarli nello spirito
del laboratorio solidale.
I consumatori
Che
cosa è una alternativa al commercio tradizionale per i consumatori?
Quali
sono i segnali più efficaci che agiscono sui comportamenti di consumo e possono
modificarli?
Questo
è il terreno su cui siamo meno preparati a rispondere, e fatichiamo ad andare
al di là di un richiamo generico al consumo critico.
Non
è facile misurare l’efficacia della comunicazione e dell’informazione che
diffondiamo, o l’effetto delle campagne che promuoviamo, ma la sensazione è che
si possa fare di più.
Anche
in questo campo però è essenziale la cooperazione tra tutti gli attori del
Comes, non solo per moltiplicare le
risorse disponibili, ma perché la cooperazione stessa diventi un valore che
attribuisce efficacia al messaggio che vogliamo portare.
Un
compito particolare da questo punto di vista spetta alla Associazione AGICES
che crescerà nella misura in cui saprà promuovere una forte visibilità
collettiva al Commercio equo e in particolare alle botteghe come punto finale
di una filiera garantita dal RIOCES.
Per ottenere questo risultato sono necessarie risorse economiche
adeguate che devono venire dagli iscritti. Siamo convinti che questa decisione
debba essere presa rapidamente, e sulla disponibilità di tutti a farsi carico
del problema, trasferendo parte dei fondi che attualmente usano per le proprie
attività di informazione a una gestione comune, si misurerà la reale vitalità
dell’Associazione.
Quali
che siano gli strumenti di informazione che usiamo essi raggiungono però una
minoranza dei consumatori, soprattutto nel caso di vendite nella grande
distribuzione. Tutti i prodotti portano invece una comunicazione importante e
percepibile da tutti nel loro prezzo.
Per
questo crediamo che il problema di un prezzo trasparente e “giusto” diventa
sempre più importante.
Il
ruolo del prezzo nel mercato tradizionale è di equilibratore, ma anche di
incentivo sia al consumo che alla vendita e il consumatore non è abituato a
valutarne la trasparenza, ma solo il valore.
Cambiare
il suo atteggiamento di fronte al prezzo è un obiettivo fondamentale, sul quale
si può misurare l’acquisizione di uno stile di consumi alternativo a quello
tradizionale.
Per
questo riteniamo che il prezzo trasparente delle merci che vendiamo sia uno
strumento indispensabile per l’educazione del consumatore e che le botteghe
siano il luogo ideale in cui valorizzare questo strumento.
Agli
importatori spetta il compito di mettere a disposizioni di tutti delle schede
con prezzi trasparenti omogenee e facilmente leggibili. Una proposta già
avanzata in diverse sedi di dibattito all’interno del Comes, e sulla quale ci
sembra necessario tornare per giungere rapidamente alla formulazione di criteri
comuni. Alle botteghe spetta il compito di valorizzare questo strumento nel
rapporto con i consumatori.
Nella
Grande distribuzione questo obiettivo di educazione al consumo è indubbiamente
più difficile da raggiungere, ma non si può rinunciarvi.
L’interesse
dei consumatori per prodotti “etici” è una tendenza di mercato e quindi la
Grande distribuzione cercherà di offrire questi prodotti, legando i produttori a propri brand
che ne garantiscono l’eticità o a forme di certificazione esterne. Ma il
rischio è che questo diventi solo una forma diversa di consumo, in cui la
coscienza del consumatore viene tranquillizzata da una etichetta, senza
cambiare il suo atteggiamento rispetto al significato del prezzo che paga per
quella merce e quindi senza modificare in modo sostanziale il suo comportamento
di consumatore “inconsapevole”.
Questo
ci sembra il problema più difficile da affrontare per la vendita dei prodotti
del Comes nella grande distribuzione.
Per
noi le Botteghe del mondo restano quindi lo strumento fondamentale di contatto
tra i consumatori e il Comes. Uno strumento insostituibile, da proteggere e
valorizzare diffondendo sempre più l’idea che per essere consumatori
consapevoli non basta cercare prodotti “etici”, ma bisogna contribuire alla
crescita di una economia sociale e solidale, di cui sono parte integrante le
Botteghe del mondo ma non certo i supermercati.
Cooperativa
Equo Mercato Via Cesare Cattaneo 6 22060 Cantù - località
Vighizzolo (CO) Tel. 031/734158 Fax 031/730915 equomercato@equomercato.it www.equomercato.it